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«Iniziò da un funerale.
Anzi ricominciò tutto da un funerale. Da un funerale ivoriano, in una chiesa cattolica del sud Italia, una mattina di settembre, con un sole che sembrava ancora estate. A Bari.
Era morta Thérèse, la mamma di Lilou.
Tra le righe di una preghiera a un Dio apolide, Priscilla ritrovò, senza il minimo sforzo, tutto il film di una vecchia storia».
In una concezione circolare del tempo che è tutta africana, l’improvvisa dipartita di Thérèse è occasione di ritorni: di un viaggio emozionale a ritroso negli anni, fino ai primi Novanta, quando Bari è città di transito e frontiera, vivace laboratorio urbano di scambio interculturale che assiste, con lo sbarco dei primi ventimila albanesi, all’arrivo di un’epoca nuova. Degli anni dei fuorisede che hanno appena vissuto la Pantera, delle Case dello Studente e delle mense universitarie, di memorabili concerti alle Feste dell’Unità, di lavoretti precari e più neri del nero per alzare due lire; dei giorni in cui per telefonare a casa si faceva la fila per ore alle cabine telefoniche con la scheda truccata. Dei tempi in cui casa Lilou, nel colorato caos del quartiere Madonnella, è porto di mare e accogliente ritrovo: «Dovevi cercare lavoro? Cenare dopo il Ramadan? Non sapevi dove dormire? C’era Lilou. Sempre Lilou».
L’amicizia fra Lilou e Priscilla nasce nel settembre del ’92, in una finestra fra due mondi aperta da un capriccio del caso in un’affollata corsia del Policlinico. Priscilla Verieri è un’adolescente al quarto anno del liceo artistico, figlia unica di un’agiata coppia di avvocati, con un brillante futuro già ipotecato nello studio legale di famiglia; Lilou Martin un’ivoriana ventiquattrenne, venuta da Man qualche anno prima in attesa di un figlio bianco, col sogno del Belpaese dipintole dal fidanzato italiano, e un presente da madre sola, di salute cagionevole, con un impiego precario alla mensa universitaria e un piccolo sussidio ottenuto grazie all’amico sindacalista Konè. Lilou vive con il suo bimbo Sébastien e il cagnolone Amour, che gli amici le hanno regalato per lenire il dolore dell’abbandono, in una casa dove trovano posto elefanti di legno, grandi pagne variopinti, «souvenir d’Avorio, tazzine da caffè e buone porcellane messe in vetrina come in ogni casa del sud Italia che si rispetti».
Così, a casa Lilou, intorno alla tavola imbandita di piatti fumanti di foutou e riz gras, fra interminabili partite di awalé e il lesto ripetitivo intrecciare di capelli e racconti, s’incontrano vite lontane e diverse, e una tavolozza di carnagioni che spazia dal latte scremato al cioccolato fondente, e le conversazioni si allungano nella notte saltando in tutta naturalezza dall’italiano al francese alla lingua yacouba, dall’arabo al greco al dialetto barese. Amalgama di questa umanità esule, di queste variopinte identità “diversamente culturali”, è il riso, nutrimento del corpo e dell’anima: il riso nel suo duplice significato di alimento fondamentale di tanta parte dell’umanità, e di scatto liberatorio, che scardina i recinti della cosiddetta normalità e insegna «il gusto delle differenze, in questo gioco buffo che è la vita».
Titolo: Riso Fuorisede
Autore: Silvia Rizzello;
Editore: Kurumuny Editore
Formato EPUB con Digital watermarking
ISBN: 9788898773589
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